NIVEA E BAUDELAIRE (A PIEDI NUDI)
May 4, 2012NIVEA E BAUDELAIRE OVVERO LA TELA AMOROSA DEL RAGNO
INDEX
Ouverture
PARTE I – RITRATTI
Capitolo 1 – Ritratto di Nivea
Capitolo 2 – Baudelaire
Capitolo 3 – La sete
Capitolo 4 – Il volo
Capitolo 5 – Il bacio dorato
Capitolo 6 – Dopo un po’ di tempo
Capitolo 7 – La pantera
Capitolo 8 – Il ragno
Capitolo 9 – Il fantasma morto
Capitolo 10 – A piedi nudi
Capitolo 11 – Niente
Capitolo 12 – Nessuno
Capitolo 13 – La maga
Capitolo 14 – Il bersaglio
PARTE II – DIARI
Capitolo 1 –Nivea, marzo solchi nella pelle
Capitolo 2 – Baudelaire, Dicembre
Capitolo 3 – L’uomo d’oro, giugno
Capitolo 4 – L’uomo che ferisce, settembre
Capitolo 5 – Baudelaire, giugno
Capitolo 6 – Nivea febbraio, questa è la danza della luna calante
Capitolo 7 – La pantera, ottobre
Capitolo 8 – Baudelaire, agosto
Capitolo 9 – Ho fatto un sogno
PARTE III – La Tela
Capitolo 1 – Ciocche di capelli
Capitolo 2 – Nivea incontra l’uomo che ferisce
Capitolo 3 – La corsa
FINE
Ouverture
Sono una fata oscura che danza nella notte. Evoco attraverso musiche,
cerimoniali
sacri e spiriti. Evoco il risveglio delle anime animali addormentate,
il richiamo alla danza senza pensiero.
Voci lontane nel buio rispondono al richiamo con echi colmi di grazia
e di disgrazia.
Saggezza non convenzionale di percorsi totali, tortuosi. Attraverso
la polvere, dall’ombra si eleva la pura bellezza della notte nera senza
stelle e senza lampioni. Le voci in cori emettono virtuosismi modulati
di passione. Le sirene cantano dal profondo di laghi addormentati,
celati, e fameliche vampire con nere ali si sollevano brillando per
elegante ferocia.
La notte danza nell’oscurità, di bellezza indescrivibile, danza nel
silenzio dei sogni e danza nel sangue dei vivi.
I lamenti delle sirene sono musica, musica dolcissima di pianto e
dolore, della terra che muore, e non vuole. I lamenti delle sirene sono
maledizioni di rabbia, misantrope e maestose.
Voci piene e rotonde nel buio occhi brillano come stelle, cascate di capelli
come ragni tessono le tele dei destini.
Si porti rispetto alla notte.
PARTE I – RITRATTI
CAPITOLO 1 – Ritratto di Nivea
Il movimento che fa l’ape sul fiore mi fa venir voglia di mettermi una gonna a ruota, di quelle
larghe che girano nel vento come petali in amore.
Oggi il clima è un po’ afoso, ma preferisco stare sull’erba del cortile comunque. Non è estate
tutto l’anno e le occasioni per vestirsi poco all’aria aperta vanno colte
Se Baudelaire fosse qui, forse mi accarezzerebbe come la brezza, in quel modo leggero e
rispettoso. Forse mi accarezzerebbe solo con lo sguardo, uno sfiorare di ciglia, ma avrebbe
comunque lo stesso effetto su di me.
Non è qui.
Ci siamo solo io e l’estate.
E folate di ricordi e di sogni che mi inebriano come oppio che incanta. Vorrei addormentarmi
sotto quel melo. Posso?
Così Nivea si abbandona fra erba e terriccio, i riccioli sparsi sulle radici del
melo, gli occhi socchiusi e piccole formiche che tracciano percorsi misteriosi
sulle sue guance ignare.
Fa sogni strani che si susseguono come un carnevale. Vede i rami del melo
estendersi fino ad abbracciarla, vede sé stessa piangere di gioia lacrime di
cristallo che vengono raccolte da principi come fossero diamanti, sogna di
baci ad occhi chiusi e fate nude che saltellano su pietre inseguite da ranocchi
volanti che diventano satiri che diventano uomini che diventano assassini ed
il terrore dipinto sul viso delle fate e poi tutto nero.
Nivea si sveglia di soprassalto. La temperatura è scesa leggermente,
si sente riposata e un po’ stranita. L’aria è ferma, soffocante.
Sta scendendo il buio e la solitudine le solletica l’anima fino a stringerle
lo stomaco in una morsa dolorosa.
“Da quanto tempo sono sola?”
Prova a fare il tragitto del gambero per risalire alla prima volta
in cui ha avvertito quella sensazione immanente di profonda solitudine. Comunque.
Il primo ricordo coincide con il suo primo ricordo in assoluto. Era una
bambina, piccolissima, non aveva ancora compiuto tre anni, e già portava
il peso della consapevolezza che nessun altro al mondo, all’infuori di sé
stessa, avrebbe potuto salvarla dalla solitudine.
Più che il ricordo di un avvenimento era il ricordo di un pensiero.
Le circostanze non la toccavano in quel momento, così giovane già
si mostrava seria e misteriosa, così assorta nella sua aria grave di bambina
pensierosa, con gli occhi della curiosità rivolti dentro si sé.
Aveva afferrato il concetto di solitudine.
Quel limbo privato in cui ci si rifugia quando qualcosa non va.
Erano passate diverse estati da quel primo ricordo. Aveva provato
a recitare molti falsi entusiasmi da allora (alcuni credibili), per dimostrare
gratitudine verso un mondo a cui sentiva di non appartenere. E ovviamente
qualcuno se ne accorse.
“Tu sei diversa” si sentiva dire, o “Tu sei strana” o “Tu sei speciale”.
Ormai ci aveva fatto l’abitudine, al punto da convincersi (in base alla legge
della relatività) che quelli strani erano gli altri e invece quella normale era lei.
E anche se così non fosse stato, poco le importava perché in ogni caso una
vita sola le apparteneva, e toccava a lei stessa sprecarla.
Così ad un certo punto si era liberata anche dal fardello dell’accettazione da
parte degli altri ad ogni costo. Era un’outsider, un’offsider, un’asociale.
Il suo fregarsene dagli occhi de “la gente” veniva percepito come presunzione,
libertà, bellezza, rovina.
Come un angelo caduto le era capitato di camminare per la strada e sentirsi
gli occhi addosso come fosse una star, un mostro da ammirare per la propria
forza individuale, una vulnerabile preda, un bersaglio indifeso su cui scagliare frustrazioni.
A volte si nascondeva, si vestiva male, si chiudeva in casa a respirare il suo
stesso odore per settimane, per scampare ai deliranti giudizi che le scivolavano
addosso senza rispetto. Tutti sbagliati.
Finché seppe di Baudelaire
CAPITOLO 2 – Baudelaire
Baudelaire l’aveva sempre immaginata così: come un fiore antico. Immaginava un ovale serio
e dolce con scuri lunghi capelli attorcigliati come serpi ad accarezzarle la fronte, le tempie.
Immaginava lei con un’acconciatura raccolta che si rifletteva assorta in uno specchio opaco,
come se fosse stata una vecchia fotografia in bianco e nero sull’antica lapide di una bella donna
defunta, o una rosa beige dipinta a mano su una spilla ottocentesca a sfondo marrone.
La immaginava immutabile. Pura. Come l’acqua pulita. Non importava quanti anni lei avesse, o se
fosse stata sposata o lesbica, o malata terminale. Lui l’avrebbe riconosciuta subito e lei sarebbe
diventata sua in un istante. Avrebbe lasciato quel marito stronzo, si sarebbe convertita
all’eterosessualità, si sarebbe alzata miracolosamente da un letto di ospedale non appena si fossero incontrati.
Ne era certo. Mano sul fuoco.
In certe notti il suo cuore esplodeva.
Lei come un fantasma disponeva perle di sudore sulla sua fronte. Gli apparve, o meglio
appariva nella sua mente, presente e inesistente al tempo stesso.
Voleva afferrarla, con una carezza leggera e rispettosa. Lei lo guardava, sorrideva, poi
malinconica diceva “non voglio farti impazzire”.
Baudelaire la ringraziava, chiudeva gli occhi con ancora quella voce senza suono nel cuore.
Sperava di sognarla, sperava di amarla,sperava di incontrarla. Gocce salate e calde sul cuscino.
CAPITOLO 3 La sete
Si sentiva un perdente senza speranza. Uno che mentre piangeva disegnava un volto sconosciuto, mai visto, visto ovunque. Mai trovato.
Sì, passava le giornate volando a due metri dal suolo. Sulla schiena ali bianche ali d’amore che il vento sbatteva di qua e di là. Come un piccione ferito. Gli occhi affamati di chi ha fame di un bacio. Ma
non di un bacio qualsiasi, dato da labbra qualsiasi._.
“non voglio farti impazzire”.
Si conficcava le unghie nella pelle, piano, fino a sanguinare, gli mancava, lei gli mancava
da morire. Poi scoppiava in una risata, come fanno i matti e come fanno i genii. Una risata
improvvisa, autodenigratoria, autoironica.
Non gli mancava il senso dell’umorismo e lei lo sapeva.
“Se continuo così un giorno mi ammazza, così vedremo, magari ti incontro nel
regno dei morti.”
E rideva e piangeva contemporaneamente.
Un pazzo.
Perché lei era dolce, dolce da straziarsi l’anima.
Dolce da far piangere Lucifero in persona.
E poi era così sola…si vedeva lontano un miglio. La luce della sua pelle rifletteva malinconia.
Non aveva mai visto una luce così.
Infatti non l’aveva mai vista.
Ma lei sì, lei sapeva chi era Baudelaire
CAPITOLO 4 Il volo
Passava del tempo e non accadde molto.
I giorni morivano e risorgevano in un susseguirsi di stagioni senza un solo episodio che
avesse fatto battere il cuore di Nivea.
Nivea stava attraversando un lungo periodo di sonno. Durante la veglia si trascinava
disgustata in mezzo a facce sconosciute che vedeva tutti i giorni, ma che le sembravano
maschere appese sopra anime timide che avevano paura di mostrarsi. Maschere incattivite
votate al dio del compromesso. Maschere che correvano e facevano sgambetti per avere l’offerta più vantaggiosa.
Ovviamente a Nivea dell’offerta più vantaggiosa, del soldo in più, del prestigio di quartiere
era sempre importato fino ad un certo punto: nessuno.
La veglia ormai non le interessava, aveva la sua piccola veglia funebre quotidiana
fra le braccia di Morfeo.
Quando tornava dal lavoro si sdraiava sul letto e restava immobile ad occhi chiusi
completamente isolata da tutto.
Sola e dentro di sé.
A volte si addormentava, altre non era necessario: così immobile come un gatto che ti sbircia,
restava a sentire le sensazioni che le dava il suo corpo, la pesantezza, la leggerezza, i capelli sporchi sul viso, i capelli puliti sul viso poi il suo cuore le parlava e le diceva” Nivea c’è troppa malinconia qui.
Abbiamo bisogno di amore”.
Nivea piangeva e pensava “E’ vero. E’ vero, potrei morire di amarezza”.
Chiuse gli occhi bagnati e si assopì stremata dallo sforzo emotivo.
Fu così che iniziò il suo viaggio dell’anima alla ricerca del suo amore di sempre, dell’amore
perduto dalla notte dei tempi. Quando si addormentava, una parte di lei abbandonava
il suo corpo e volava, volava instancabile, tra folate di vento, voci, case, tetti, stelle, fiumi
bui, prati fioriti, volava nel passato e nel futuro, volava nei propri ricordi, incontrava altre anime.
Le anime le parlavano in vari modi e le indicavano altre strade. Una faticaccia.
Per questo al risveglio spesso era più stanca di quanto non lo fosse prima di essersi “riposata”.
E questi viaggi la rendevano ancora più lontana dal mondo “normale” che la circondava.
Era sempre distratta, come se avesse lasciato la testa chissà dove.
Sembrava una morta che cammina e in un certo senso lo era. Ormai fantasticava anche
ad occhi aperti, qualsiasi cosa facesse. Molto spesso dimenticava i suoi sogni, dove era stata,
cosa era successo.
Le restava solo una sensazione che l’avrebbe accompagnata come un profumo per alcune ore.
Come un sapore. Dolce. Di pinoli.
Il sapore dei baci degli angeli.
CAPITOLO 5 – Il bacio dorato
Arrivò l’estate. Un’estate a caso e Nivea conobbe un uomo. Di quegli uomini di cui, non si sa come, si scopre l’esistenza solo d’estate.
Dove si nascondono per il resto dell’anno?
Non si sa, forse sono diversi e non si notano. Non c’è abbastanza luce.
Ad ogni modo, quest’uomo era bellissimo.
Aveva i raggi del sole intrappolati fra i capelli, la sua pelle era calda e sembrava d’oro.
Nei suoi occhi si nascondeva l’universo e camminava come un angelo, senza fatica apparente,
con il passo più soffice della neve.
A Nivea non sembrava possibile:l’uomo d’oro le aveva confidato tanta solitudine ed amarezza, così contrastanti con il suo aspetto splendente, tanto dolore da domandarsi come ne potesse
essere uscito senza annientarsi. La sua voce era così calda che le si scioglievano dei nodi interni
quando lui le parlava. Credo che lui fosse un angelo vero e proprio.
Stargli vicino la faceva sentire bene e per lui era lo stesso. Avevano la stessa risata,
buona come il pane, sembrava pioggia.
Si arrabbiavano per le stesse cose, piangevano per le stesse cose.
Non era LUI, però. Era un conforto dolcissimo, era la speranza che ci fosse ancora bellezza
a questo mondo,
Era una mano pura che ti sfiora.
Era il soffio di cupido. Ma non la centrò.
Così l’estate svanì, e con essa svanì anche questo raggio di sole.
CAPITOLO 6 Dopo un po’ di tempo
Nivea iniziò una relazione con un uomo che la faceva soffrire. Gli si donava come
una martire e lui prendeva tutto e pretendeva di più. La sbalorditiva mancanza di amore
da parte di lui contrastava con la totale offerta che Nivea faceva di sé. La usava, le mentiva,
la tradiva in mille modi, la illudeva e la colpiva con una freddezza senza pari.
Per Nivea era come un estatico esercizio di disperazione. Trovarsi davanti all’indifferenza
ed innamorarsene.
Stupirsi di fronte alla volgarità e dilaniarsi. Ogni gesto mancava di grazia. Per il sesso la
metteva a gambe larghe e la violentava. Infinite volte. Senza amore.
Nivea piangeva. Piangeva. Implorava amore. Un abbraccio vero. Un bacio soffice. Una carezza
ad asciugarle le lacrime. Niente. Non riusciva ad andarsene.
Vedeva i propri giorni imprigionati, come se avesse le gambe incatenate alla distruzione di sé.
Come se lei non valesse niente e lui fosse un dio dai mille diritti e capricci.
Nivea si rifugiava nella musica.
Ballava e piangeva si sentiva sola si voleva bene diceva non è giusto. Diceva non voglio morire così.
CAPITOLO 7 La pantera
Baudelaire camminava dinoccolato su quelle lunghe gambe magre che aveva.
Camminava fra le ordinate vetrine del centro. Intriso di grazia maschile. La grazia dei poeti.
Spalancava i suoi occhi grandi quando scorgeva il proprio riflesso.
Poi procedeva elegante come un felino randagio. I capelli scompigliati nell’aria ferma di città.
Non era uscito per un motivo preciso, gli era andato di farsi una passeggiata, forse per
respirare aria diversa, dopo tutte quelle giornate passate chiuso in casa a respirare la
propria disperazione per un amore senza nome.
Per quella dolcissima follia.
Si sentiva uno strazio, probabilmente il suo odore offendeva i passanti, ma nei suoi
pantaloni neri di finta pelle e in quella camicia di flanella (che ormai stava arrivando l’autunno)
il suo cuore esplodeva come un sole, che emanava una luce vibrante tutto intorno e lo rendeva
bellissimo, ancora più bello di quanto sarebbe apparso ad un primo sguardo.
Una mano leggera lo sfiorò, aveva dita affusolate e unghie molto curate, l’estremità di un’ossatura scheletrica piuttosto fine. Baudelaire si voltò. A guardarlo dritto negli occhi erano due occhi neri e vispi.
Una ragazza non bellissima, ma molto sexy. Lei sorrideva sfacciata. Forse voleva del sesso da lui.
B. sentì quella mano come se artigli avessero squarciato il velo del suo mondo che lo separava
dal resto. Si sentì come se si fosse svegliato da un lungo sonno e ricambiò il sorriso.
La ragazza si fece coraggio ed attaccò a parlare, lo invitò in non so quale locale per la sera
successiva e gli lasciò il proprio numero di telefono. Poi si dileguò tra la folla come una pantera
sottile. B. seguì con lo sguardo il movimento sicuro delle sue anche nervose prima di vederla
scomparire.
“Bene!” pensò Baudelaire “Ragazze, locali, numeri di telefono! Vediamo se uscendo
non riesca a guarire da questa ossessione misteriosa”.
Passò la notte insonne a rigirarsi fra le lenzuola stropicciate, l’odore della casa si era
appropriato della sua serenità.
Al mattino lo specchio gli rivelò un’immagine un po’ sconvolta, il solito alone scuro e dannato
sotto le palpebre. Pareva un vampiro.
Decise di trascorrere la giornata fuori casa, era intontito e la luce del sole gli faceva una sottile
violenza. Si comprò hamburger e patatine e pranzò tutto solo seduto in un parco.
Cercava di riprendersi, si guardava intorno ma gli occhi erano velati e non provava
nessun interesse per ciò che vedeva.
Addentò il pasto con pigra lentezza, cullato dal rumore del traffico in sottofondo.
Si sentiva un convalescente ancora cagionevole.
CAPITOLO 8 – Il ragno
Il locale era abbastanza particolare.
Evidentemente non avrebbe attirato folle di gente mediocre alla moda.
La musica era violenta e profonda, mai sentita prima. Figure sottili bevevano al buio da lunghi
calici stretti senza scomporsi e senza atteggiarsi.
Tutto era molto serio e forse anche naturale.
La ragazza del giorno prima si avvicinò a Baudelaire, si accese una sigaretta.
Aveva pantaloni aderenti ed una tunica scura a maglia di rete.
Gli si avvicinò all’orecchio e disse: “Io so come ti senti. Hai bisogno di una bella scossa”.
Baudelaire annuì tutto serio.
Nivea stava seduta sola in un angolo buio, il suo uomo l’aveva abbandonata dopo aver gridato
ad occhi chiusi il nome di un’altra donna mentre avevano fatto l’amore. Se così si può dire.
Nivea era rimasta paralizzata e aveva chiesto spiegazioni. Il suo uomo le aveva tirato uno schiaffo per l’insistenza e le aveva suggerito di farsi i cazzi propri.
Non si era trattato certo di un episodio edificante, ma la solitudine aveva reso
Nivea una facile preda ed ora che si trovava di nuovo sola non sapeva che fare.
Così stava seduta nel buio di questo locale, in silenzio, come scioccata.
Bellissimi occhi malinconici fissi su un punto. La mente torturata. Corpo e cuore umiliati.
Credeva di essere innamorata. No. Sì. Boh. Stava impazzendo. Lacrime calde colavano
sulle guance come lava.
Come un automa si alzò per andare al bagno. Passando davanti all’ingresso l’aria fredda
le procurò un brivido. Ancora due passi. Un profilo pallido di giovane uomo.
Un altro passo. Una donna perfetta sussurrava parole misteriose all’orecchio del giovane uomo.
Un passo ancora e credette di svenire mentre scivolava alle spalle di Baudelaire poi lo vide
annuire serio.
Raggiunse lo specchio del bagno, si buttò dell’acqua in faccia. Decise di ubriacarsi e
trascinare quest’uomo nella sua vita prima che lo facesse quella pantera.
L’aveva già visto. Dove l’aveva visto?Quando uscì dal bagno la coppia misteriosa era andata via.
Il ragno del destino aveva intessuto una fittissima tela.
Dolce.
CAPITOLO 9 – Il fantasma morto
Baudelaire tremava. Mentre la misteriosa ragazza gli aveva parlato, aveva avvertito una scossa.
Un odore familiare gli aveva fermato il cuore per un secondo. Ma non sapeva. Non era della pantera. Cos’era stato? Ancora il fantasma?
Scacciò il pensiero con egoismo prima ancora di sentire l’invisibile angosciata dolce melodia
che era nell’aria e solo lui poteva sentire.
La ragazza dai fianchi sottili lo condusse svelta per delle vie buie. I suoi denti scintillavano
nell’oscurità in un sorriso seducente e quasi diabolico.
Raggiunsero il portone pesante di un palazzo benestante.
Come in certi film senza molta fantasia iniziarono a spogliarsi mentre salivano le scale.
Baudelaire si sentiva eccitato. Più nel cuore che nel corpo. Come due gatti i loro corpi si
muovevano in sintonia sussultando freneticamente.
Baudelaire dormì in un letto sconosciuto, quando si svegliò non era più solo, aveva
fra le braccia una bellissima donna. Decise che l’amava. Lei aprì gli occhi e sorrise.
Era così diversa dal suo adorato fantasma. Era una donna vera. Grazie a lei sarebbe guarito.
CAPITOLO 10 – A piedi nudi
Quando Nivea si risvegliò il cielo le stava regalando un blu così intenso che le si riscaldò
il cuore per qualche minuto.
Attraversò il corridoio a piedi nudi, i capelli le frusciavano sulle spalle, indossava un
vestito a fiori di cotone, corto.
Seduta su una poltroncina in balcone, ascoltò l’armonia del silenzio punteggiato dai
vivaci rumori di una mattina di fine estate.
Cosa voleva fare? I cocci del suo cuore volevano ancora riposare prima di riunirsi un’altra
volta e pulsare più o meno normalmente.
Nivea pensava all’uomo che l’aveva abbandonata, alla forma della sua bocca, alla bellezza
che era tuttavia riuscita a scorgere nel buio della sua esistenza.
Pensava a come lui non si fosse accorto di lei. Pensò agli occhi di lui chiusi nel piacere, occhi che immaginavano un’altra. Occhi che non la guardavano. Corpo che l’attraversava usandola. Come era possibile? Perché lui non la vedeva? Era cieco a tutto l’amore che lei gli offriva? Alle mani che gli regalava?Al calore che lo accoglieva?
Altre lacrime le rigarono il viso.
Si sentiva come un punto su un balcone perduto nell’universo senza legami con nessuno.
Il dolore era già esploso. Ora la quiete dopo la tempesta era arrivata per sedare i suoi fragili nervi.
Seduta nella pace di un mattino di fine estate non si ricordò del ragazzo che aveva visto
la sera prima in quel locale, sentiva solo un filo tenue srotolarsi, come un gomitolo
che corre giù per le scale e si allontana.
CAPITOLO 11 Niente
“Sei molto bella”
“Grazie” rispose Nivea con un sorriso.
Era da tanto tempo che nessuno le faceva un complimento pulito.
“Dove stai andando?”
“Sto cercando un lavoro, sai sono stata senza lavorare per un po’ di tempo ed ora ho
bisogno di qualcuno che mi dica che ho talento ed un posto in questo mondo”.
“Parli in modo strano. Mi sembra di conoscerti da una vita”.
“Parlo sempre in modo strano. Sono strana. A tutti gli sconosciuti sembra sempre di
conoscermi da una vita. Ma non è così. Beh, buona giornata io vado di qui.”
“Aspetta, ti accompagno”.
“No. Voglio andare da sola.”
Allontanandosi sentì lo sconosciuto ritirare il complimento che le aveva fatto.
Nessuno dà niente per niente, pensò, soltanto io.
I passanti le scorrevano accanto anonimi. Cercava una sensazione familiare.
Cercava il filo di un gomitolo che si era srotolato giù per le scale. Cercava Baudelaire, anche se preferiva che fosse B. a cercarla. Camminò così per due o forse tre ore. Lasciò da parte l’idea del lavoro, B. non aveva lasciato tracce.
Forse non l’avrebbe più sognata.
Si era aperto un nuovo capitolo. Un capitolo senza sogni. Senza senso. Senza sapore.
CAPITOLO 12 – Nessuno
L’uomo che l’aveva ferita la chiamò.
-mi sei mancata – ti amo – ti voglio ancora
-Sì? Disse Nivea con la voce che le tremava-
(Avrebbe voluto gridargli: “E chi era quella per cui tenevi gli occhi chiusi? Cosa voleva da noi?
Non ne parli?Non mi chiedi scusa?Non mi hai violentata a sufficienza?) – non so – proseguì –
mi manchi anche tu.
Il suo orgoglio e la sua dignità si erano dileguati nel fondo dello stomaco. Ma era vero
che le mancava. Non aveva voglia di mentire. Non voleva fare la sostenuta. Non voleva fargliela pagare. Non voleva niente.
Lui le parlò ancora per qualche istante, in un tono sul simpatico che Nivea non riuscì a decifrare.
Poi le disse “Beh. Ora devo andare. Se vuoi tornare, la porta è sempre aperta. Lo sai.”
N. rispose “Ci devo pensare”.
Poi la conversazione si concluse e Nivea non pensò proprio a niente.
Era ora di cena, ma lo stomaco le si era chiuso. Si sedette a tavola. Fissò il vuoto,
qualche voce le parlava, ma era come rumore senza anima.
Due bocconi. Non ho più appetito. Una tazzina di caffè. Scusatemi, vado di là.
Gli sguardi dei suoi parenti l’attraversavano. La giudicavano. Un po’ la deridevano.
Non le importava. Era sempre stato così e negli anni aveva imparato a restare sé stessa
anche in momenti come questo. Nessuno poteva capirla. Forse qualcuno che non era lì.
Non era per lei.
CAPITOLO 13 – La maga
Hai una rivale. Le disse una cartomante dopo aver scrutato assorta le sibille disposte
sul tappeto.
– Ah, sì? – Fece la pantera innervosita.
Voglio saperne di più.- Iniziò a tormentarsi le mani con le sue lunghe unghie da strega,
gli anelli, il polsino della camicia. Poi si accese finalmente una sigaretta. Attese con calma.
-Vedi? E’una presenza femminile, qui, vicino al tuo uomo, ma non è molto chiaro, è come
se fosse una specie di presenza spirituale, un angelo incarnato.
– Ah, beh, forse la nonna morta che lo veglia, può essere?
– Ne dubito, le carte evidenziano un rapporto molto forte, ma c’è presenza di desiderio.
Disperato desiderio. Un vuoto da colmare.
– Non potrei essere io quella donna?
– No, mi dispiace, è proprio un’altra. Ma non devi preoccuparti. Il destino è
ancora aperto e lo puoi cambiare…dovresti cambiare lui…renderlo un altro. In questo modo,
cambiando la sua essenza, anche se si incontrassero lei non sarebbe in grado di riconoscerlo
e l’avrai tutto per te. Concluse con un sorriso.
La pantera rimase pensierosa per qualche istante, come a soppesare la situazione.
Infine sorrise a suo modo e disse:
– Sì, posso farlo. Non sono “innamorata” di lui, ma lo voglio. Deve essere solo mio
e di nessun altra. Poi, potrò renderlo come più mi piace e innamorarmene a lavoro completato.
– Hey bimba! Non è mica Frankestein! Vacci cauta e fai attenzione al debito karmico,
con certe cose è meglio non esagerare.
– Non ti preoccupare, cocca, so sempre come fare quando non sono “presa” con il cuore.
Acquistò sette candele rosse che fece impacchettare con dovizia e tornò a casa raggiante.
Ma una piccola punta avvelenata l’aveva colpita ed aveva iniziato a scorrerle nelle vene.
Si sentiva fiera e ridicola al tempo stesso.
A cosa sarebbe servito appropriarsi di un uomo che forse non le apparteneva? –
Sciocchezze! Non aveva visto altre in giro. Baudelaire non gliene aveva mai parlato
e poi passavano la maggior parte del tempo insieme. Il morbo della gelosia si era però insinuato lentamente nella mente della pantera e cresceva…cresceva…iniziava a prenderle lo stomaco
e serrarle la mascella, la vista annebbiata, un tuffo al cuore le mani inquiete volevano strozzare un fantasma senza volto. Tutto nel giro di poche ore.
“Sarò perfetta per lui”, pensava. “Gli farò perdere la testa, lo vizierò, esaudirò
ogni suo desiderio…mm mi sa che mi sto innamorando..”
Estetista, parrucchiere, un salto in centro per della bella biancheria intima
che gli farà schizzare gli occhi dalle orbite, vino rosso.
La pantera sapeva come spendere tempo e denaro per ottenere i risultati, sapeva
muoversi nel mondo mondano. Non era mai sola. Forse semplicemente faceva di tutto per
nasconderlo a sé stessa.
Una bella impalcatura, un ingranaggio perfetto, sapeva reagire, era molto forte dentro
quell’ossatura delicata.
CAPITOLO 14 – Il bersaglio
Era passata una settimana prima che Nivea si decidesse a cercare davvero un lavoro.
Era senza un soldo, ma non si sa come, nel tempo aveva sviluppato la capacità di riuscire a
cavarsela con pochi mezzi senza sentirsi in obbligo verso sé stessa. Un po’ come fanno
tutti gli animali non ominidi presenti sul pianeta che hanno vissuto intere esistenze senza
sentire il bisogno di dedicarsi ad attività astratte.
Era una cucciola scellerata, la pecora nera, insomma sempre la solita storia.
Libera dagli affanni e dalla cupidigia provocava più invidia di un paio di scarpe nuove
fiammanti ai piedi della tua migliore amica.
Anche di questa invidia non le importava.
Il suo cuore era a brandelli, la mente sotto shock e da qualche giorno non trovava buone
ragioni per vivere.
Figuriamoci per bussare sorridente a porte arroganti per sentirsi dire le faremo sapere.
Ma stare in casa era diventato insostenibile. Correnti di odio attraversavano le pareti per
colpirla. Rimproveri bisbigliati ad alta voce desideravano sotterrarla e schernirla.
Inetta!Incapace!Schifosa!Non vali niente.
Sopportare oltre quelle sensazioni di fastidio equivaleva a spianar loro la strada.
Doveva rendersi in qualche modo indipendente. La prospettiva di sé stessa sola in un
qualsiasi luogo a far passare giorni e notti non era certo dolce, ma forse la vita le avrebbe
sorriso un giorno e lei avrebbe danzato scalza ad occhi chiusi con il sole nel cuore.
Avrebbe condiviso la colazione con un uomo romantico capace di guardarla negli occhi
con rispetto senza chiedere niente in cambio. Un uomo avrebbe reso frutto il fiore
che lei era. Un frutto dolce e pieno d’amore. Cercò la forza per risvegliarsi almeno
un poco da quel torpore che la stava anestetizzando.
PARTE II – DIARI
CAPITOLO 1- Solchi nella pelle
Nivea, marzo
Il punto in cui la luce
In un punto
Si oscura
La luce
Diventa un punto.
La mia pelle esposta. Così pallida.
Da un punto bianco una goccia rossa.scura.
Maree e fasi lunari, lame fredde e razionali
Simboli di falcetti di morte.
Quando tutto bombarda, quando tutto urla, stordisce, quei colori sono troppi non ne voglio più.
Il piccolo falcetto della morte mi porta ad un piccolo supremo silenzio.
Ciò che non mi appartiene, mi abbandona.
scorre via
a gocce
se ne và!
L’anima coperta da informazioni in più,
si pulisce, diventa pura
diventa reale x
Queste sono le piccole lapidi scavate nella mia pelle. Con arte scavate non senza attenzione. Dolci brevi linee della vita interrotta come l’interruttore della luce si spegne fa buio.
Nivea.
CAPITOLO 2
Baudelaire, Dicembre
Dove sei? Luna nascosta nelle tenebre. Solo le tue braccia possono tirarmi su da questo baratro. Splendente di sangue, immortale ti risvegli dalla fine scuotendo sabbia e polvere dal manto tuo di stelle. I tuoi occhi mi accecano limpidi. Ululo al buio con fitte d’amore.
Unica. Apparizione silenziosa di luce.
Sorridi con il tuo cuore di bambina.
Vedi la bellezza del mio cuore interamente, così, in modo semplice. E scompari.
Lasciandomi solo e pazzo.
Il nostro dolore non sarà mai carne.
Baudelaire.
CAPITOLO 3
L’uomo d’oro, giugno
Vorrei accarezzarti.Dolce. Bellissima
fontana di baci.
CAPITOLO 4
L’uomo che ferisce, settembre
Si offriva a me. Nessuna mi aveva mai amato veramente prima. Ora sono solo. Solo come un cane. La sua carne fresca. La sua risata. Intorno a me solo silenzio. Orrore. Desiderio e disgusto.
CAPITOLO 5
Baudelaire, giugno
Perché soffri piccola mia?
Sento che stai male. Dove sei?
Vorrei immergermi nella tempesta in piena notte e urlarti tutto il mio amore. Dove sei?
Baudelaire
CAPITOLO 6 Questa è la danza della luna calante
Nivea, febbraio
Le finestre oscurate e fuori neve
e dentro freddo tanto freddo i piedi
nudi danzano sul pavimento leggeri come
piccoli balzi. Nel buio ti vedo meglio anima mia.
Descrivono i passi accennate spirali
Antiorarie non dense non sensuali.
La calma dei passi.
Senza pensieri. La vita scorre con la morte scorre con la vita si intreccia e si allaccia.
Contemplativa assenza del superfluo.
Rotazioni in movimento di bellezza circolari
Tamburellano i fianchi scuotono il dolore via lontano si disperde come biglie tintinnano verso la luce corrono nella neve si sciolgono.
Polsi si sfregano nel silenzio morbidi parlano geometricamente affini si baciano e si separano. In preghiere si sollevano gli occhi si socchiudono con ciglia come ricami.
Nivea.
CAPITOLO 7
La pantera, ottobre
“La fortuna è come una gatta che ti osserva attenta con severi occhi”.
Baudelaire è la cosa più bella della mia vita.
Le mie gambe lo agganciano come edera.
Mi sposerà e avrò dei figli da lui.
Figli geniali.
La pantera
CAPITOLO 8
Baudelaire, agosto
Lei è bellissima. E’ vitale. Baciarla mi fa girare la testa. Lei è qui per me.
E’ un’oasi di serenità. E’ il fuoco del mio corpo che si accende. Le darò il mondo.
CAPITOLO 9 – Ho fatto un sogno
Nivea, maggio
Le fate della pioggia
Piccolissimi passi portano le fate della pioggia a celebrare i riti del cielo grigio. Con
ticchettii gentili le nuvole rovesciano cristalline gocce sul viso sui capelli sulle braccia in
movimento. Saltellano le fate della pioggia con risolini argentini mentre il mondo spaventato
si rintana e si accoccola.
L’aria frizza come mille campanelli e nei cuori all’aperto germogliano giovani sentimenti.
Il vento frusta le gocce come schiaffi sulla pelle, si arrossa timida e gli occhi brillano riflettendo
miriadi di gocce con o senza lacrime.
Le fate della pioggia come ghirlande d’acqua, desiderose di baci lasciano intravedere l’anima
per un momento respirano il tuo sorriso nell’aria mentre tu non sai.
I ritmi rallentano quasi addormentati ed il cuore corre selvaticamente adorando le grigie,
dense e più scure nuvole bramando il temporale che celebra, sì la disperazione e batte gocce
più forti sul corpo sulla testa sulle mani come un massaggio che lava via il dolore con
violenta passione.
E le fate ruotano e corrono verso i fiumi e danzano alla musica dei tuoni all’unisono con il
sangue che pulsa dentro le vene scorre come un fiume in piena.
Ridono e sentono la felicità primordiale della libertà con questa forza che fa fermare
tutto il resto.
Questa forza che piano si placa dolce lascia tracce umide del suo passaggio e le fate
tornano a dormire.
Nivea.
PARTE III – La tela
CAPITOLO 1 – Ciocche di capelli
La gonna a ruota di Nivea ruota vorticosa in un turbine arcobaleno. La testa gira.
I sottili legami interpersonali intessuti dall’universo si ingarbugliano come ricci, mentre le emozioni si susseguono a velocità straordinaria.
Lasciando impressioni di memoria troppo tenui.
Sensazioni che dipingono volti, giorno dopo giorno, rivelandone la natura come la tela sulla
mano che la chiromante sa leggere.
Poi il diavolo ci mette lo zoccolo (o l’artiglio) e pettina uno dei riccioli del caos armonioso.
Lo stira, lo lucida e lo intreccia con una ciocca di capelli a sua scelta per vedere cosa succede.
Ma succede sempre la stessa cosa.
Una noiosa oppressione che si sopporta per non offendere e perché non si può fare altrimenti.
Un legame preconfezionato, costruito, funzionante. Ordinato. Senza grazia.
Ci sono vite che hanno bisogno di regole da dare al proprio cuore, poiché del cuore non si fidano.
Cercano sentieri già battuti da ripetere. Lasciando fiumi di fronde inesplorati e selvaggi.
Ci sono giardinieri che uccidono rami per regalare all’occhio forme geometriche già conosciute.
Per paura della bellezza che un cespuglio libero può sprigionare. Per imbarazzo.
CAPITOLO 2 – Nivea incontra l’uomo che ferisce
– Quali ghiacciai si nascondono nelle tenebre del tuo cuore? Quali ricordi hanno ispessito le pareti della tua anima, così sorda.
Il tuo sguardo risoluto non si commuove mai. Pare che dalla vita tu cerchi vendetta. (Chiese Nivea.)
– Non è così – sono solo un po’ riservato
– Ed io sono un po’ vulnerabile
– Ascolta non posso prometterti cambiamenti, capisci?
– Lo so, forse è meglio che non ci vediamo più…
– Sì, meglio così. Mi dispiace…
– Mi hai ferita. Ho bisogno delle tue scuse
– Te la prendi per niente .. in fondo non ho fatto niente di male.
Un sussulto che partiva dal ventre scosse Nivea sentiva il bisogno di schiaffeggiarlo.
– Come puoi essere così presuntuoso?
– E tu?
– Io?
– Sì
– Tu sei pazzo. Nivea se ne andò.
Lui rimase solo sulla panchina e per la prima volta in tanti anni pianse. Il mondo che credeva
di stringere in un pugno si rivelò grigio e squallido.
Se ne accorse con la meraviglia di un bambino. Per la prima volta qualcosa riusciva a stupirlo.
L’orrore di quanto lo circondava. L’orrore di ciò di cui si era fatto volontariamente circondare
per tanto tempo.
Si stava svegliando con un punto di vista diverso. L’amore di lei lo aveva iniziato.
Sul bus di ritorno Nivea aveva le cuffie del lettore nelle orecchie e Sinead O’ Connor cantava Nothing compares 2U.
Si chiese qual era il vero amore. Il sogno della metà platonica o il sentimento irrazionale
per un uomo pericoloso? Non aveva importanza. Come aveva sempre fatto avrebbe
ascoltato le proprie viscere e nessuna teoria.
Quella notte lo sognò – l’ uomo che l’aveva ferita – aveva ali d’angelo e gli occhi commossi,
di una tonalità più chiara del solito. Occhi che avevano visto lacrime.
Le sembrava impacciato ma le faceva una tenerezza incredibile.
Stava accanto a lei, timido, insicuro sul da farsi. Voleva abbracciarla ma lei si svegliò.
Malinconica e sorpresa. Lui l’aveva torturata per mesi e ora lei si sentiva responsabile per lui.
Roba da trattato psichiatrico.
E rise.
CAPITOLO 3 – La corsa
Ma si sentiva amata. Era una sensazione così candida. La cullava e le faceva chiudere gli occhi
in un sorriso. Questo però le ricordò gli occhi chiusi di lui. Una fitta troppo forte
le irrigidì le gambe. Non riusciva più a fidarsi. Aveva paura di abbandonarsi. Forse sarebbe stato
tutto diverso ora, ma immagini del dolore che le aveva ripetutamente causato
correvano come insetti scoperti. Di qua e di là. Si morse le labbra. Aveva motivo di assaporare
una leggera felicità e nel farlo temeva di aprirsi troppo all’amore e disperdersi
e non ritrovarsi mai più.
Poi la generosità ebbe la meglio e si lasciò scappare un sorriso dolce.
Seria e muta vide davanti a sé una giornata semplice. Da scoprire minuto dopo minuto.
– Ho aperto tanto il mio cuore che una coltellata ora come ora non la sentirei.
Uscì in strada il vento le scivolava sul corpo si sentiva calda e bella. Bruciante.
Occhi lucidi e ritmo nel corpo. Era affamata di verità, assetata per il risveglio.
Si sentiva misteriosa come un volo di farfalle che si leva in cielo in piena notte.
Profumava di fiori antichi incontaminati.
Passò sotto ad un palazzo ed un uomo alla finestra l’aveva notata. Il cuore di Baudelaire
iniziò a battere all’impazzata, i suoi passi si precipitarono per le scale come rock degli anni 80
tutto assoli di chitarra e un po’ kitsch – E’ lei! Esiste! Dio come sei bella! Non sei solo un sogno! Ovviamente una volta aperto il portone lei non c’era. Sarebbe stato troppo facile.
Doveva scovarla come l’ape con il fiore. Doveva seguire il suo odore.
Lei camminava come piroettasse, una felicità crescente e inspiegabile,
pareva danzasse pareva volasse.
La vide in lontananza. Era leggera come una rosa, pura, pura come yogurt.
La sua pelle luminosa – voleva assaggiare il suo cuore.
Aveva le narici innamorate mentre correva verso di lei, attraversando strade.
La raggiunse. Le sfiorò una spalla scoperta con la mano. Nivea si voltò, con grazia,
nonostante lo spavento. Di fronte a lui la riconobbe, lunghi capelli scuri come serpi
incorniciavano il suo viso antico ed innocente.
Meravigliosi occhi malinconici si fermavano nei suoi, riconoscendoli. In quell’istante
attraversarono secoli.
– Mi chiamo Baudelaire
Nivea piegò la testa su di un lato e sorrise.
FINE
P.S. Sarà anche un romanzo breve e un po’ contorto, ma mi sentirei troppo in colpa
a lasciare il lettore curioso in sospeso in merito alla sorte degli altri personaggi.
Quindi, come fanno nei titoli di coda in alcune commedie americane, aggiungerò dei
microcapitoli in cui inventerò quello che è successo nel frattempo.
Microcapitolo 1
L’uomo che ferisce decise di farsi prete, ma poi incontrò una tizia di non so quale paese
e cambiò idea.
Microcapitolo 2
L’uomo d’oro da meraviglia che era ricevette tanto amore da diventare ancora più bello.
E siccome era anche molto intelligente, visse una vita fantastica e completamente priva di noia.
Microcapitolo 3
La pantera aveva sedotto Baudelaire con cene a lume di candela e vino molto rosso
nonché tutte le possibili rivisitazioni dei manuali d’amore orientali. Filtri d’amore potentissimi.
Completi intriganti e costosi. Insomma si era impegnata tantissimo, stella, ma alla fine con B.
non centrava più di tanto e su consiglio dell’amica cartomante si era messa insieme
ad un regista famoso lasciando Baudelaire un po’ di sale.
Fino all’episodio della finestra.
Microcapitolo 4
Il resto del mondo, famiglia di Nivea compresa aveva continuato, e continua, più o meno, a farsi i fatti propri. Non sappiamo se Nivea abbia trovato lavoro oppure no.
Microcapitolo 5
Il canto delle sirene fameliche
Sono una fata oscura che danza nella notte. Evoco attraverso musiche, cerimoniali sacri e spiriti. Evoco il risveglio delle anime animali addormentate, il richiamo alla danza senza pensiero.
Voci lontane nel buio rispondono al richiamo con echi colmi di grazia e di disgrazia. Saggezza non convenzionale di percorsi totali, tortuosi. Attraverso la polvere, dall’ombra si eleva la pura bellezza della notte nera senza stelle e senza lampioni. Le voci in cori emettono virtuosismi modulati di passione. Le sirene cantano dal profondo di laghi addormentati, celati, e fameliche vampire con nere ali si sollevano brillando per elegante ferocia.
La notte danza nell’oscurità, di bellezza indescrivibile, danza nel silenzio dei sogni e danza nel sangue dei vivi.
I lamenti delle sirene sono musica, musica dolcissima di pianto e dolore, della terra che muore, e non vuole. I lamenti delle sirene sono maledizioni di rabbia, misantrope e maestose.
Voci piene e rotonde nel buio occhi brillano come stelle, cascate di capelli come ragni tessono le tele dei destini.
Si porti rispetto alla notte.
**********************************************************************
Autunno 2004